di Roberta Gianvincenzi

In Austria, e a Vienna in particolare, fin dalla seconda metà dell’Ottocento ogni campo creativo e scientifico era in notevole fermento: era in atto lo slancio modernista.
La base ideologica fin de siécle mirava al superamento del pensiero positivista, ponendo in primo piano la vita interiore dell’uomo, inteso non più collettivamente, ma come individuo a sé stante. Tale volontà di rivalsa interiore ricevette uno stimolo ineguagliabile quando Sigmund Freud iniziò a indagare la psiche umana, scoprendo il substrato inconscio di cui è costituita, formato da tutti quegli impulsi reconditi, perversi, sessuali e aggressivi di cui l’individuo non ha coscienza diretta. E proprio da tali fondamenta nasce l’Espressionismo: la sua finalità sarà infatti la resa dell’espressione, degli stati d’animo, dell’interiorità psicofisica, rivelati nella loro immediatezza in soggetti desolanti, inquietanti, folli, rappresentati in una forma violenta e cruda.
Incontrovertibilmente figlio del suo tempo è Egon Schiele: le sue opere sono pervase di personaggi rappresentati attraverso l’uso di linee spezzate, colori acidi, contorni marcati, in pose rigide e contorte, che dimostrano con immediata evidenza la volontà dell’artista di esternare il proprio malessere interiore, quello più irrazionale. Oltre ad appoggiarsi alla psicanalisi e agli altri avanzamenti nel campo, sembra che Schiele abbia anche fatto riferimento, come spunto nella realizzazione delle sue opere, ai ritratti fotografici di pazienti isteriche ed epilettiche eseguiti dal neurologo francese Jean-Martin Charcot nella clinica ospedaliera della Salpêtrière. Queste fotografie ritraevano le pazienti durante le diverse fasi degli attacchi isterici o epilettici ed erano corredate da racconti delle loro ossessioni, di solito di natura sessuale.

Hystéro-Épilepsie – Contorsions, Iconographie photographique de la Salpêtrière, 1876

Le posizioni e le espressioni assunte dalle pazienti furono riprese nei disegni e dipinti di Schiele, mostrando ancor più la sua profonda inquietudine esistenziale. Schiele ben comprese il pensiero del neurologo, il quale asseriva che l’attacco nevrotico dipendesse da una reminiscenza traumatica condensata nella fase delle cosiddette “pose plastiche”, contorsioni incontrollate che sviluppano nell’osservatore sia un senso di fascino e attrazione incondizionata, sia un senso di repulsione.

Egon Schiele, Donna sdraiata con calze verdi, 1917, Collezione privata

Questa stessa congerie di sensazioni è avvertita da chi osserva le opere di Schiele, che nelle sue opere è riuscito a ricreare visibilmente il disagio psicosomatico delle internate della Salpêtrière. Il malessere dei personaggi realizzati dal pittore è il riflesso di quello patito dall’intera umanità e dal singolo individuo che si identifica con l’artista stesso.

Attaque – Crucifiement,
Iconographie photographique de la Salpêtrière, 1876

Non solo le posture totalmente forzate e distoniche rivelano il disagio interiore e psichico dei soggetti ritratti da Schiele: nei dipinti egli utilizza anche colori acidi, innaturali, macchie di colori discordanti per ricreare la carnagione. La resa delle malattie cutanee è spesso stata adoperata dagli artisti per rendere l’idea della disfunzione, del disordine, della corruzione, del peccato o della colpa, andando contro l’idea della bellezza fisica, morale e psichica. È come se Schiele volesse deliberatamente esporre, tramite il suo caratteristico tratto, il patologico lato nascosto dell’uomo moderno e le affezioni più degradanti della modernità.

Egon Schiele, Ragazza dai capelli neri con gonna sollevata, 1911, Vienna, Leopold Museum

A Vienna, infatti, la sessualità non poteva essere vissuta liberamente: la città era infatti sì epicentro di emanazione di novità artistiche e in ogni branca dello scibile probabilmente senza precedenti, ma era altresì profondamente cattolica e conservatrice. Lo scalpore che suscitò il corpus di opere di Schiele fu, dunque, inequivocabile, come anche la forte carica erotica che egli seppe infondere a ogni corpo dipinto. Più la propria arte diventava matura, più si faceva erotica nelle pose, nei gesti, nelle espressioni.
Schiele sviluppò precocemente una sessualità tormentata, conseguenza diretta dei vari avvenimenti traumatici che avevano logorato la sua infanzia e la sua pubertà. Assistette, infatti, fin da piccolissimo al decadimento fisico e psichico del padre, il quale, prima di sposarsi, aveva contratto la sifilide, passando il morbo alla moglie e provocando così la morte di tre dei suoi fratelli; e l’adolescente Egon, proprio mentre stava sviluppando la propria sessualità, era già ben consapevole che quella del padre fosse una malattia connessa al sesso; da qui deriva la continua assimilazione tra sesso, ansia e senso di colpa.

Egon Schiele, Autoritratto, 1911, New York, Met

Tra il 1910 e il 1912, i soggetti maggiormente trattati sono due: il nudo femminile sfacciato, con preponderanza di modelle nella prima età adolescenziale, e gli autoritratti. Per quanto riguarda i nudi femminili, questi sono in maggioranza acquerelli, dipinti senza sfondo, e concentrano l’intera attenzione sull’aspetto carnale. Sembra che Schiele disegnasse senza mai staccare gli occhi dalla modella, con una tecnica già elaborata da Rodin, alimentando così la suggestione della linea di contorno, che catturava soprattutto i particolari rilevanti per il pittore, così come l’uso di un colore drammatico che metteva in risalto in particolar modo i genitali. I suoi giovani nudi non rendono in alcun modo l’idea del “bello”, non sono proporzionati, sono goffi, i colori sono stridenti; nonostante ciò riescono a effondere comunque un erotismo disarmante. Gerti Schiele, sorella del pittore e prima modella a posare per lui, è ritratta il più delle volte impacciata, timida (e con ciò non meno provocante), mentre, allo stesso tempo, le altre modelle hanno uno sguardo seducente, consapevole della propria sessualità, pur nelle loro pose nevrotiche, patologiche, nella carne corrosa dalla malattia e dall’angoscia. È un continuo incrociarsi di sensazioni contrastanti, tra una concezione negativa della sessualità, ma allo stesso tempo attraente. L’enfasi tutta indirizzata nei confronti del corpo nudo è il risultato di accorgimenti tecnici ben calibrati: la figura resta isolata sullo sfondo vuoto, distaccata da esso, allineata con l’asse centrale della tela e presenta spesso l’amputazione di arti o altre parti, in un’irrimediabile impressione di ansia e inquietudine.

Egon Schiele, Ritratto di Gerti Schiele, 1909, New York, MoMA

Anche negli autoritratti, Schiele trasmette una forte tensione erotica: si tratta delle opere in cui rappresenta se stesso mentre pratica autoerotismo. La masturbazione era colta, anche in questo caso, nella sua accezione negativa, come tortura autoinflitta e condanna senza scampo, portatrice di senso di colpa e, nella Vienna di quell’epoca, si pensava anche portatrice di pazzia, tanto che sin dal XVIII secolo furono organizzate campagne anti masturbazione con l’appoggio di clero, pedagoghi e teologi.
Schiele sentiva su di sé il peso della cultura austriaca che giudicava l’autoerotismo come un problema medico e psicologico. Tuttavia, egli è anche partecipe della scena culturale di Freud, secondo il quale la masturbazione corrisponde a una delle tre fasi del normale sviluppo infantile della sessualità da lui teorizzate, efficace nuovo riscontro del fatto che il pittore e lo psicanalista condividevano numerosi parallelismi.
L’audacia con cui Schiele rende un tale contenuto considerato osceno è ineguagliabile e non si discosta dalla sua idea malsana del sesso, tanto che spesso si ritrae con le mani verso un organo genitale assente, mutilato.

Egon Schiele, Masturbazione, 1911, Vienna, Albertina

Unica tenerezza, unico sentimento amoroso nei dipinti di Schiele, è ravvisabile negli affettuosi abbracci tra sole donne, diafane coppie lesbiche dai tratti più armonici, avvinte nella consapevolezza del dolore e della solitudine: le ragazze, stringendosi l’un l’altra, fanno reciproco affidamento su loro stesse nella condivisione di una tragica esistenza. Tutto, nel corpus di opere di Schiele, rispecchia espressionisticamente la sua sensazione di spaesamento, vergogna, colpa, dolore.

Egon Schiele, Due donne abbracciate, 1911, Collezione privata

Roberta Gianvincenzi

Ritual+ è il nuovo progetto editoriale di Ritual The Club incentrato sugli aspetti culturali del mondo fetish.