Di Vincenzo Angelo

Dovremmo ringraziare Angela Carter.
Intanto, chi siamo noi che dovremmo ringraziare Angela Carter? E in secondo luogo, perché? Che ha fatto la scrittrice inglese morta nel febbraio del 1992 per avere diritto al nostro commosso ringraziamento?
Ma cominciamo dal principio: chi siamo noi.
Quando dico noi, mi riferisco alle persone che provano insofferenza verso i miti di ogni sorta, pur amandoli a volte, e pretendono di vivere prendendo possesso del reale e dell’immaginario, usandoli a proprio piacimento nell’accordo con tutti gli altri soggetti che ne fanno lo stesso uso, con eguale diritto.
Parlo di chi, spinta o spinto da un sincero amore per la libertà (intellettuale, sessuale, politica), prova disappunto di fronte al tentativo, da parte di forze che si dicono liberatrici, di imbrigliarla subito in nuove categorie, sfornando catechismi libertari che non nascono mai dalle concrete esigenze, ma sono formulati a tavolino dai sacerdoti della liberazione, simili in molti aspetti ai sacerdoti della reazione. Stessi metodi, stesse facce.
E adesso che abbiamo chiarito chi siamo noi, vediamo perché Angela Carter può essere un’ottima compagna di strada, e perché merita la nostra gratitudine.
Questa originale narratrice e saggista, vissuta fra Occidente (Regno Unito e USA in primo luogo) e Oriente (Giappone), nelle sue opere ha giocato con la vita, con la sessualità, le identità di ogni tipo, la violenza fatta e ricevuta, l’essenza stessa dell’uomo e dei suoi più elementari riferimenti (spazio, tempo, nascita, morte), adoperando un registro fantastico che varia dalla science fiction alla fiaba passando per il racconto gotico, con lo scopo di rendere evidente quanto siano vuoti i costrutti ideologici e sociali.
Non risparmia niente, Angela Carter: non il romanticismo e le sofferenze d’amore, sottoposte a implacabile, divertita dissezione, pur non arrivando mai a metterne in dubbio l’effettiva drammaticità nella loro crudezza, ma insistendo sul carattere di commedia, di gioco delle parti; non risparmia la famiglia; e non risparmia lo stupro, l’incesto, la violenza e l’omicidio, facendoli in mille pezzi e tessendo trame in cui i ruoli di vittime e carnefici si prestano a continui capovolgimenti.
Gioca con le identità sessuali e di genere, in tempi non sospetti e in maniera tale da infastidire chi, pur sostenendo tesi femministe o queer, tentava di trasformarle in una nuova liturgia, con regole e scomuniche.
Se per etimologia, date le origini astronomiche del termine, la rivoluzione indica una sorta di ritorno a un passato migliore, aureo, Angela Carter è quanto di meno rivoluzionario ci sia, e nello stesso tempo fra le voci più forti che si siano scagliate contro la reazione, ogni tipo di reazione.

Angela Carter


Ma per capire appieno quanto possiamo imparare da lei e dal suo approccio all’esistente, oltre ai suoi romanzi e racconti dovremmo leggere un suo saggio del 1979, dedicato all’analisi femminista dell’opera del Marchese De Sade. “La donna Sadiana: un esercizio di storia culturale” rappresenta un punto di rottura nella narrazione femminista del tempo (siamo negli anni della seconda ondata e del femminismo radicale), e propone un’interpretazione di Sade agli antipodi rispetto a quella fino a quel momento elaborata da femministe come Andrea Dworkin o Susan Griffin, che vedevano nello scrittore libertino francese il simbolo del patriarcato e della sottomissione della donna. Contro questa visione, schematica e frettolosa, la femminista Carter scrive questo saggio, e ci racconta un’altra storia.
Una storia in cui la morale, il ruolo di madre affidato d’ufficio alle donne, la virtù intesa come obbligo e come unica opportunità di salvezza e di affermazione nel mondo, sono forme di violenza tanto quanto gli stupri, le botte e le discriminazioni esplicite. E in questa storia il ruolo della donna è deciso a tavolino da uomini. La donna è diversa, la donna eleva l’uomo, la donna dà la vita.
E Angela Carter ha letto nella furia iconoclasta di Sade, fustigata e condannata da altre femministe che consapevolmente o inconsapevolmente avevano interiorizzato il mito (creato dagli uomini) della “sacra differenza” femminile, proprio uno strumento di liberazione dell’individuo donna, in una società repressiva che decide del futuro di un neonato in base al sesso.
La vicenda di Justine e Juliette, entrambe immerse in un mondo violento e osceno, a cui reagiranno in maniera diametralmente opposta, acquista una valenza nuova, diventa un’ode alla ribellione. Per Sade, nella lettura carteriana “l’impotenza femminile è una qualità dei poveri, indipendentemente dal sesso. Juliette è un’eccezione: con la forza della sua volontà diventerà una superdonna nietzscheiana, vale a dire una donna che ha trasceso il suo genere ma non le contraddizioni a esso inerenti”. Juliette diventa, pur in un universo parodistico e volutamente provocatorio, e al di là dei concetti di bene e di male, un essere umano consapevole e compiuto, che vive la propria femminilità in contrasto con le rappresentazioni fittizie e gli archetipi mitici che sono affibbiati dalla nascita alle donne.
E la pornografia, altro elemento che parte del femminismo della seconda ondata combatte ciecamente, è qui vista invece proprio come strumento di capovolgimento dei rapporti di forza.

Ritratto di Donatien-Alphonse-François de Sade a 20 anni realizzato da Charles-Amédée-Philippe van Loo


Quale pornografia? Sembra chiedere la Carter. Quella che rappresenta fedelmente i modelli patriarcali dominanti, traducendoli in rappresentazioni ad uso e consumo maschile, o una pornografia che distrugge le rappresentazioni abituali dei corpi e dei desideri, ridefinendoli di volta in volta sulla base delle azioni dei soggetti coinvolti? La lotta contro il dominio patriarcale passa anche da qui, e colpire la pornografia lasciando stare tutto il resto, mito della donna madre e della “sacra differenza” in primis, significherebbe semplicemente cambiare rito, continuando comunque a celebrare la stessa messa.
In questa maniera scopriamo un Sade “femminista”: non perché effettivamente lo fosse nei termini di oggi o degli anni ’70, ma perché fornisce gli strumenti per demolire miti e restituire agli individui la loro vita. In primo luogo – ed è questa la scoperta più importante della lettura carteriana del classico del libertinismo settecentesco – grazie alla decostruzione del concetto di dipendenza emotiva delle donne, nelle sue dimensioni storica, economica e culturale. La dipendenza emotiva infantilizza la donna ed è stata per secoli un freno al suo sviluppo, intrappolandola in una gabbia ben peggiore della pornografia: il matrimonio imposto e la maternità come vocazione.
“La dipendenza economica delle donne rimane una finzione a cui tutti credono e si presume arbitrariamente che implichi una dipendenza emotiva che viene data per scontata come una condizione inerente all’ordine naturale delle cose”, scrive Angela Carter nel suo illuminante saggio. E da questo punto vista gran parte della narrativa romantica, veicolante una particolare forma di amore come l’unica valida, fa molto più danno di un pornografico Sade, ed è consustanziale al sistema che Sade, pure in maniera non organica, invece critica.
Questo saggio inoltre anticipa alcune conquiste a cui il dibattito sul genere e gli studi queer sarebbero arrivati qualche anno dopo, e arriva a ipotizzare qualcosa che fa drizzare i capelli anche ad alcune femministe di oggi, cioè che la sessualità e il genere siano almeno in parte una cosa costruita, un prodotto culturale. E se non si vuole combattere ora e in tutti i campi della vita, distruggendo i miti invece di costruirsene di nuovi e autoconsolatori, sarà veramente difficile mettere in discussione i reali rapporti di forza patriarcali.
“Se le donne si lasciano consolare del loro divieto di accesso, culturalmente determinato, alle modalità del dibattito intellettuale, dall’invocazione di ipotetiche grandi dee, stanno semplicemente lusingandosi nella sottomissione (una tecnica spesso usata su di loro dagli uomini)”.
E una sottomissione ben più pericolosa di quella narrata da Sade o di quella, consensuale e gratificante, del BDSM che scandalizza i preti di tutte le chiese.
Visto perché è giusto ringraziare Angela Carter?

Incisione dall’edizione in dieci volumi del 1797 de “La Nouvelle Justine ou les Malheurs de la Vertu”

VINCENZO ANGELO

Ritual+ è il nuovo progetto editoriale di Ritual The Club incentrato sugli aspetti culturali del mondo fetish.